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Terza persona (Percorsi paralleli)

Enrico Capodaglio



La lega percettiva terrestre

All’interno della nostra specie in questo istante sette miliardi, più o meno, di nostri confratelli della lega percettiva terrestre stanno guardando questo stesso pianeta, ciascuno dal suo punto di vista. E uno vede una periferia parigina, uno una distesa di ghiacci, uno una giungla, uno un panorama volante lungo l’oceano pacifico, uno un bagno, uno un boulevard, uno un libro un altro un cielo stellato o un impianto siderurgico. E questi miliardi di occhi vedono lo stesso mondo, generando miliardi di mondi, tutti veri, che sono il mio stesso mondo.

Viviamo tutti in un mondo anamorfico della percezione, una realtà del tutto deformata ma in modo universale rispetto alla nostra specie, che fa sì che lo troviamo del tutto naturale e unico, cioè senza nessuna alternativa possibile, un mondo che vediamo in una prospettiva plasmata sui nostri sensi e tale da poterci muovere in esso con il nostro corpo in modo abbastanza armonico e coordinato.

Questa meravigliosa bolla visiva dentro cui ci vediamo a vicenda non è certo fantastica e illusoria, come potrebbe pensare solo un candidato alla follia, e nondimeno è proprio come un cartone animato o un videogioco, conformato in modo che le sue leggi, oggettive e indipendenti da noi, siano commisurate al nostro modo di percepirle, sicché catturiamo la realtà vera in una forma tipicamente umana.

Il noumeno (da nous: mente, intelletto), cioè, nel gergo di Kant, il mondo in sé, sarebbe accessibile soltanto a un Dio, che non solo ci ha donato la vita ma anche il modo più adatto di percepirlo, quasi sottraendolo alla propria visione, perché contento che fossimo noi a vederlo nel modo idoneo alla nostra sopravvivenza.

Egli ne conserva una visione sua ma quasi in sonno giacché è chiaro che, avendoci creati, si sarà adattato alla visione delle sue creature e, per ogni pianeta esistente nel mondo, lo potrà vedere con gli occhi di coloro che vi abitano.

Meraviglioso che sia sempre lo stesso mondo, che si possa percepire in migliaia di modi diversi, restando sempre quello, e obbediente alle stesse leggi, in modo che miliardi di occhi di animali sani vedano quello e non un altro.

L’arte sarà allora o il tentativo di indossare gli occhi degli altri, in una polifonia che faccia incrociare i raggi di più personaggi in una danza di immagini verbali al centro di un libro, o di rompere, scrivendo, la lega percettiva terrestre e di inventare un’anamorfosi tutta propria, ben sapendo che è impossibile mettersi dietro l’occhio, ma si può almeno svelare, combinando l’enfasi di una scena col taglio di un particolare, che ogni visione è sempre la mia. E che tutti siamo gli spettatori artistici del mondo.

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