inizio

entra / esci

Scritti / letti

Ricordo del mio amico Cens


Chi ha inventato le fotografie, lo sapeva che ha inventato qualcosa di insostenibile, di inumano. La fotografia ritaglia una fetta di realtà, è ugualissima a quella realtà, quasi è quella realtà per gli occhi, che sono un organo credulo.

Ieri è morto il mio amico Carmine G., detto il Centauro, detto da me Cens. Cens e Livietto, la strana coppia. La gente che ci vedeva insieme, nelle nostre ultime scorribande a mondragone o pontecagnano, chissà che pensava. Lui aveva il volto ormai segnato e deformato dai 15-20 anni passati nei manicomi , e tradiva nell’aspetto anche l’origine sociale diversa, più popolare. Ma tutti credo che percepivano fra noi un’intesa perfetta, un’intesa che era nata nei nostro viaggi dissennati a 20 anni in tutta europa, insieme a paolo c., e che avevamo ritrovato da che era stato abbandonato da tutti. da 7-8 anni io ero l’unico che lo andava a trovare e lo portava in giro ogni tanto. A un certo punto però non ce l’ha fatta più, ha ingoiato un sacco di roba assurda che non sto a elencare, e è morto. Non l’ha fatto per pazzia, l’ha fatto per lucidità, perché non si poteva più vivere come viveva.

Ultimamente mi chiamava quasi ogni giorno, e io lo mandavo spesso a quel paese. La regola tacita fra noi, era sempre stata di fare tutto per amicizia, nulla per dovere. Se mi rompeva le scatole, glielo dicevo. Ma il sistema poteva funzionare fino a un certo punto.

Potrei stare a scrivere di lui per giorni, da quando con lui e paolo, per evitare un tizio, attraversammo il Loch Lomond a remi, in una bagnarola bucata che lui aveva preso "in prestito” su una spiaggetta. Facevamo a turno a remare, a svuotare col pentolino, e a tenere tappato il buco col ditone del piede. Poi ci fermammo su un’isoletta deserta, accendemmo un fuoco per cucinare e ci mettemmo a ballare nudi attorno al fuoco come gli indiani, con qualche penna di uccello in testa e i segni in faccia fatti col carbone, ma proprio allora arrivò un barcone di gitanti inglesi attempate, e ci dovemmo ricomporre fra gridolini mezzo scandalizzati e mezzo compiaciuti. Alle nostre notti all’addiaccio, nei parchi di edimburgo, fra topi, alcolizzati e delinquenti di ogni tipo, svegliati regolarmente dalla polizia. Ai nostri appuntamenti, viaggiando in autostop, così generici quanto infallibili: a mezzogiorno a piazza maggiore, al tramonto al big ben. Non dicevamo nemmeno il giorno e la città, ma ci ritrovavamo sempre.

Ma ora ricordo di più il suo “livietto” (a me alto 1 mt e 90) così affettuoso degli ultimi tempi. Io ero diventato tutto per lui, a volte mi preoccupavo un po’ per questa dipendenza così forte, ma era comprensibile. Era stato mollato da tutti... da tutti. La prima volta che lo trovai in un manicomio giudiziario, al sant’efremo a napoli, appena si avvicinò capii che non era più lui, era un altro con un corpo simile. “la vita mia è andata a caposotto”, disse solo.

Poi, col tempo, misteriosamente, si era creato un rapporto forte anche con quell’altro, che in fondo era in qualche modo ancora lui, anche se sconnetteva, non riusciva più a conquistare le donne, e da che era furbo e scaltro come una volpe, era diventato ingenuo come un bambino. In fondo mi piaceva questa sua inutilizzabilità sociale, mi eccitava. Dopo le avventure di viaggio, il Cens si era avventurato in un essere se stessi estremo.

Ma è impossibile sopravvivere con questo sistema, è impossibile soprattutto se hai l’energia che aveva lui. Fumava come un turco, tutti lo conoscevano e alla fine era simpatico a tutti, specie ultimamente che aveva recuperato un minimo di lucidità.

Come a 18 anni nei nostri viaggi, ancora ora con lui mi sentivo totalmente libero, vivevo con lui e in lui la mia parte asociale e alienata. In qualche bar dava in escandescenze, recitava poesie o si metteva a gridare forza napoli o qualche assurdità, ma io ridacchiavo e mi sentivo bene. Gli pagavo il caffè e uscivamo, qualcuno dietro chissà cosa commentava. Ma non sapevano che in fondo erano cose che aveva sempre fatto, perché lui era già pazzo quando era sano.

Quando mi chiamava, aveva quasi sempre una poesia da recitarmi…ne produceva incessantemente. Per lui era un modo di ricomporsi, di trovare un ritmo alle cose e di "respirare" più puramente. Le sue poesie non avevano un senso definito, ma ne avevano uno più profondo, provenivano da un punto al di là di sé, esprimevano una qualche essenza più assoluta dlle cose e del loro flusso.

Non c’è più. Non c’è più l’unico che possedeva alcuni dei miei ricordi più belli, e dunque non c’è più alla lettera un pezzo di me, di quella cosa sparsa che siamo. Potrei dire che è morto per colpa dei medici, dopo 2 giorni dall’operazione non sapevano come gestirlo, e se ne sono liberati rimandandolo subito in psichiatria…ha avuto complicanze, è stato rioperato, non ha retto. Ma non è questo il problema. Potrei dire che è colpa della famiglia, e di tutti quelli che l’hanno abbandonato. Forse non è neanche questo. Il problema sta più giù, il problema è quando in quella cosa mezzo sfilacciata che è un io, si aprono certe faglie, certe voragini…in un certo senso, stranamente, l’ha ucciso la conoscenza, l’ha ucciso non esserci più, non ritrovarsi più nella strana abitudine di vivere.

In sua memoria, il suo unico amico Livio, 25 marzo 2012.


www.livioborriello.it